“L’ARTE FA STARE BENE” (B.Simonetti – gallerista di Boston)
Entrare in uno studio medico molto colorato e ricco di richiami al mondo infantile proietta il paziente in una realtà completamente diversa e rende più piacevole l’attesa. La sala d’ attesa caratterizza praticamente tutti gli ambienti medici. L ‘attesa è un momento sospeso così come lo definisce Ezio Bosso, compositore e direttore d’orchestra; “…sottolineo l’importanza dell’attesa: di una diagnosi, di una cura, della fidanzata…con l’attesa si tende a qualcosa. L’autobus si aspetta”. Durante il tempo trascorso in attesa il paziente è recettivo. Spesso essendo da solo ha modo di prestare attenzione all’ambiente circostante: quanto più questo sara’ ricco di stimoli, tanto più sarà possibile trovare spunti di riflessione o sensazioni piacevoli attraverso le opere esposte.
“ E’ stato inoltre dimostrato che fruire delle espressioni dell’arte non ha unicamente una funzione di intrattenimento, ma è anche uno strumento di welfare: migliora la salute, allunga l’aspettativa di vita, protegge dal declino cognitivo tipico dell’avanzare dell’età, rallenta il decorso di molte malattie croniche, riduce l’incidenza della depressione”. (E.Grossi – Universita’ di Bologna).
Daisy Fancourt dell’ University College of London ha studiato con i suoi collaboratori il coinvolgimento dei sistemi neuroendocrino e immunitario durante la fruizione e la creazione artistica, dimostrando l’impatto positivo sulla salute fisica e psichica della persona. Viviamo in un’ epoca in cui molto spesso il contatto medico-paziente è mediato da accertamenti strumentali e l’arte è vista eccessivamente dal lato economico. Unendo queste due realtà si ottiene sia un miglioramento della comunicazione per il primo, sia una valorizzazione dell’impatto emotivo per la seconda.
Esperienze dirette:
Spesso il mio lavoro mi porta a contatto con persone nel momento finale della loro vita.
Ho visitato un anziano collezionista nel suo salotto. Al temine gli ho fatto i complimenti per la collezione d’arte esposta nella stanza. Nonostante la sofferenza generata dalla malattia, mi ha descritto con entusiasmo e trasporto i pezzi a lui più cari. Una mezz’ora serena, un distacco dalla malattia, un attimo cristallizzato nel tempo, prima del termine del suo viaggio su questa terra.
Un artista che ha spesso dipinto la morte nelle sue opere mi ha regalato una sua incisione dal titolo “La musica è finita” (rappresenta musicisti che smettendo di suonare si decompongono). Mi ha spiegato che quando un artista non riesce più ad esprimere la propria arte, ha concluso il suo percorso sulla terra. Mi ha poi confidato che il tumore al polmone aveva ormai intaccato anche la spalla destra impedendogli di dipingere. Abbiamo guardato insieme alcune sue opere e abbiamo riso sulle interpretazioni più curiose che le persone davano alla sua arte.
La condivisione artistica ha portato a provare meno dolore, a distogliere la mente, anche solo per un momento, dall’ineluttabile esito della sua malattia.
Molte persone, infine, si siedono davanti alla mia scrivania e trovano nell’ambiente qualcosa che li stimola a condividere con me una passione. Una parte di loro che spesso amici, colleghi di lavoro, famigliari magari non conoscono.
E in quel momento divento il medico che esorta a non abbandonare queste passioni anche se lontane dalle attività quotidiane. Si avvia un dialogo strano, lontano da quello canonico, medico -paziente. Ma è un dialogo che compie ogni volta un prodigio: le passioni portano al miglioramento della qualità di vita e del quadro clinico.
CONCLUSIONI
Viviamo in un’epoca in cui l’arte, in particolare visiva, viene percepita essenzialmente dal punto di vista economico. L’ambiente medico si configura invece come un luogo privilegiato in cui essa possa essere vissuta in base alla sua caratteristica principale: quella emotiva. Al tempo stesso l’evoluzione tecnica rischia di interferire nella comunicazione fra medico e paziente.
Ma la base del rapporto tra un paziente e il suo medico parte dal momento fondamentale dell’anamnesi , e dal rapporto empatico che si dovrebbe instaurare. Perché in fondo l’anamnesi non è che raccontare, scrivere, recuperare una storia.
L’arte può facilitare il recupero di questi elementi fondamentali dell’attività clinica.