Ormai è da tempo risaputo che l’arte fa stare bene ed è terapeutica. Aiuta a riflettere e a comprendere e gestire meglio le emozioni. Insomma si può dire che l’arte sia come una medicina ad effetto placebo E, in effetti, da qualche anno a questa parte, sono sempre di più i luoghi dove si pratica arteterapia. Insomma, per dirla con il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij la bellezza salverà il mondo. Lo dicono critici d’arte, filosofi, psicologi e medici. Ma anche e soprattutto lo dicono i pazienti.
Per fare un breve cenno storico, l’arteterapia si sviluppa principalmente a partire dagli anni quaranta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nasce come modalità di cura per reduci di guerra traumatizzati e accolti in ospedali psichiatrici. Margaret Naumburg (1890-1983), psicoanalista e seguace di Freud, è considerata la fondatrice dell’ arte terapia in America. Infatti, secondo la Naumburg: “Il processo dell’ arteterapia si basa sul riconoscere che i sentimenti e i pensieri più profondi dell’uomo, derivati dall’inconscio, raggiungono l’espressione di immagini, piuttosto che di parole“.
In Italia è solo nel 1991 che Nicola Velotti stila il Manifesto per l’Arteterapia. Conduce laboratori di arteterapia con l’artista Claudio Costa in collaborazione con lo psichiatra Antonio Slavich nell’ex O.P. di Quarto di Genova e nell’ex O.P. di Aversa con lo psichiatra Sergio Piro.
L’arte come terapia
L’arteterapia può aiutare e migliorare la vita del paziente perchè diverse arti possono interagire con la psicologia umana all’interno di un processo curativo. In questo periodo storico considerare l’Arteterapia come una delle possibilità che un medico aperto può avere per aiutare la sofferenza, è senz’altro una possibilità reale. Con il termine arteterapia, in pratica, si indicano un insieme di tecniche e di trattamenti terapeutici che utilizzano le arti visive per promuovere la salute o favorire la guarigione dell’individuo.
Cultura di base, il progetto di Torino
Quanto sia sempre più importante questo concetto è espresso molto bene nel progetto CULTURA DI BASE promosso all’interno del percorso sperimentale Well Impact della Fondazione Compagnia di San Paolo. L’obiettivo? Vivere l’esperienza dello spazio progettato come parte della cura. Questo progetto ha visto l’apertura di ambulatori di una selezione di medici di medicina generale della ASL Città di Torino in luoghi di cultura nelle 8 Circoscrizioni della città. E ha visto impegnati, inoltre, Fondazione per l’architettura / Torino con Circolo del Design, ARTECO, ASL Città di Torino e Ordine dei Medici di Torino.
La sperimentazione è avvenuta tra settembre 2021 e marzo 2022 ( ancora in piena pandemia quindi), per poi passare alla fase di valutazione dell’impatto di cui saranno resi noti i risultati tra poco.
Il Dottor Ravazzani e L’ ambulatorio dell’arte
Abbiamo incontrato, quindi, uno dei medici di base chiamato, tramite una selezione a bando, a far parte di questo progetto: il Dottor Romano Ravazzani che ha “spostato”, per un giorno alla settimana il suo ambulatorio all’interno del Museo Egizio di Torino. Il dottor Ravazzani già da tempo applica nel suo ambulatorio, che non a caso è chiamato’ “ambulatorio dell’arte”, il principio che l’arte fa stare bene. Un luogo a Torino dove la medicina sposa l’arte o forse viceversa. E dalle parole del suo creatore, in attesa dei risultati pubblici del progetto “Cultura di base” capiamo quanto l’arte può aiutare nel rapporto empatico tra medico e paziente.
“Entrare in uno studio medico molto colorato e ricco di richiami al mondo infantile proietta il paziente in una realtà completamente diversa e rende più piacevole l’attesa – spiega il dottor Ravazzani-. La sala d’ attesa caratterizza praticamente tutti gli ambienti medici. L‘attesa è un momento sospeso cosi l’ ha definita Ezio Bosso. C’è l’attesa di una diagnosi, di una cura, della fidanzata…con l’attesa si tende a qualcosa. L’autobus, per contro, si aspetta”
L’arte è uno strumento di welfare
“Durante il tempo trascorso in attesa il paziente è recettivo. Spesso essendo da solo ha modo di prestare attenzione all’ambiente circostante: quanto più questo sarà ricco di stimoli, tanto più sarà possibile trovare spunti di riflessione o sensazioni piacevoli attraverso le opere esposte. E’ stato inoltre dimostrato che fruire delle espressioni dell’arte non ha unicamente una funzione di intrattenimento, ma è anche uno strumento di welfare.
Un attimo cristallizzato nel tempo
Viviamo in un’ epoca in cui molto spesso il contatto medico-paziente è mediato da accertamenti strumentali e l’arte è vista eccessivamente dal lato economico. Unendo queste due realtà si ottiene sia un miglioramento della comunicazione per il primo, sia una valorizzazione dell’impatto emotivo per la seconda.
Spesso il mio lavoro mi porta a contatto con persone nel momento finale della loro vita. Tempo fa ho visitato un anziano collezionista nel suo salotto. Al temine gli ho fatto i complimenti per la collezione d’arte esposta nella stanza. Nonostante la sofferenza generata dalla malattia, mi ha descritto con entusiasmo e trasporto i pezzi a lui più cari. Una mezz’ora serena, un distacco dalla malattia, un attimo cristallizzato nel tempo, prima del termine del suo viaggio su questa terra
La música è finita
Un artista, orami scomparso da più di vent’anni, che ha spesso dipinto la morte nelle sue opere, Lorenzo Alessandri, mi ha donato, ai tempi in ci ero il suo medico di base, una sua incisione dal titolo “La musica è finita” (rappresenta musicisti che smettendo di suonare si decompongono). Mi ha spiegato che quando un artista non riesce più ad esprimere la propria arte, ha concluso il suo percorso sulla terra. Mi ha poi confidato che il tumore al polmone aveva ormai intaccato anche la spalla destra impedendogli di dipingere.
Abbiamo guardato insieme alcune sue opere e abbiamo riso sulle interpretazioni più curiose che le persone davano alla sua arte La condivisione artistica ha portato a provare meno dolore, a distogliere la mente, anche solo per un momento, dall’ineluttabile esito della sua malattia. E’ uno dei più bei ricordi che serbo di lui.
Un prodigio ogni volta, la bellezza salverà il mondo
Molte persone, infine, si siedono davanti alla mia scrivania e trovano nell’ambiente qualcosa che li stimola a condividere con me una passione. Una parte di loro che spesso amici, colleghi di lavoro, famigliari magari non conoscono. E in quel momento divento il medico che esorta a non abbandonare queste passioni anche se lontane dalle attività quotidiane. Si avvia un dialogo strano, lontano da quello canonico, medico -paziente. Ma è un dialogo che compie ogni volta un prodigio: le passioni portano al miglioramento della qualità di vita e del quadro clinico.
Viviamo in un’epoca in cui l’arte, in particolare visiva, viene percepita essenzialmente dal punto di vista economico. L’ambiente medico si configura invece come un luogo privilegiato in cui essa possa essere vissuta in base alla sua caratteristica principale: quella emotiva. Al tempo stesso l’evoluzione tecnica rischia di interferire nella comunicazione fra medico e paziente.Ma la base del rapporto tra un paziente e il suo medico parte dal momento fondamentale dell’anamnesi , e dal rapporto empatico che si dovrebbe instaurare. Perché in fondo l’anamnesi non è che raccontare, scrivere, recuperare una storia. L’arte può facilitare il recupero di questi elementi fondamentali dell’attività clinica”.
La bellezza e l’arte salveranno il mondo.